Lazzaro

Poco prima, in quell’attimo, cosa fu? Il silenzio? Il nulla? Oppure vidi la luce, fu tutto luce?
Ma ricordare è impossibile o forse anche inutile perché quello che fu non è più in me. I miei ricordi non sanno più nulla dei volti che piangevano, dell’acqua con cui, senza dubbio, le mie sorelle mi inumidivano le labbra. Il ricordo, il mio ricordo riparte dal suono della voce che mi chiamò.
La voce, quella voce, si è impressa per sempre in me e le mie orecchie o forse il mio cuore la risentono e nella voce risentita torna e torna più volte la vita in me.

Mi vogliono far dire che non fu e forse mi uccideranno se non saprò tornare alla loro ragione, ma non posso mentire: quella voce io la sentii. Quella voce fu vita, solo vita; fu vita che sentii scendere nelle mie ossa, sotto la mia pelle, che arrivò a toccare la profondità di me dove le mie parole e i miei pensieri non erano mai andati e dove mai più riusciranno a tornare.
Ah, quella voce e il comando, il comando d‘amore dell’amico che mi chiamava, una volta sola: “Lazzaro, esci” e fu l’attimo in cui sentii fredda la pietra su cui avrei dovuto dormire per sempre mentre in me scendeva il tepore della vita e cresceva il dovere della risposta, il desiderio indomabile di rispondere a quella chiamata d‘amore.
Mi sono alzato, impacciato dalle bende che mi avvolgevano e, uscito, hanno liberato il mio corpo lentamente, molto lentamente, forse con paura, e ho visto. Ho visto voi sorelle mie, te Marta e te Maria, ho visto anche voi che ora in questa notte silenziosa dormite dietro a queste porte chiuse e ho visto te, amico mio, che mi hai chiamato.
Le mie mani, la mia pelle e il respiro regolare, senza più la fatica e io che sono io e che pur essendo sempre io, non mi conosco più. Più nulla, né il cielo, né l’aria fresca che accarezza, né i vostri volti e neppure le mie mani, più nulla è come prima.
Ho guardato a lungo il tavolo dove da sempre ho mangiato, quella panca nel cortile e il bicchiere che uso solo io: tutto come prima, negli stessi posti. Anche voi, sorelle, sono sicuro che siete le stesse: conosco il tono della vostra voce e potrei, talvolta, persino anticipare ciò che direte eppure nulla, più nulla è come prima. Vedo tutto per la prima volta, nelle cose vecchie di sempre c’è qualcosa che non c’era: c’è quella voce e il suo comando.
“Lazzaro esci” e guardo voi, mentre il calore della vita riempie il mio corpo e il mio cuore.
“Lazzaro esci” e guardo il cielo e le nubi che sembrano danzare al vento, mentre il calore della vita riempie il mio corpo e il mio cuore.
“Lazzaro esci” e mi fermo un istante nella mia bottega posando l’attrezzo, mentre il calore della vita riempie il mio corpo e il mio cuore.

Amico, come dirti che ti so
con me? Mi giro, guardo intorno, non ti vedo, sei andato, sei partito: ti hanno preso, braccato, hanno cercato di bloccarti con tre chiodi, ma il tuo sepolcro si aprì.
Non ti vedo eppure, eppure quella tua voce: “Lazzaro!”, mi chiama sempre dentro ad ogni cosa, dentro ai sentimenti, ai miei pensieri e tu sei con me.
***
Avvenne in quel giorno e di me non si seppe più nulla. Tutto si disse e si seppe della mia prima morte mentre della seconda nulla fu detto di serio e affidabile: né quando e né come morii in quella seconda volta.
Di me non si seppe più nulla e nulla si doveva più sapere di me che ora giaccio nel fondo del tuo cuore.
Senti?
“...Lazzaro, esci....”.
O forse è solo il frusciare del vento?

Buona Pasqua