La fine del romanzo
Sono sdraiato in questo letto dal quale non posso alzarmi se non aiutato.
Gli anni sono tanti e pesano sul corpo e sulla mente così piena di ricordi che si confondono con ciò che vivo ora.
Nella casa vuota risuona lo scorrere continuo di chi mi accudisce e provvede in tutto a me. Al giovane che ero, era impossibile immaginare ciò che ora vedo: un robot va e viene nella casa, cucina, fa la spesa e sa darmi le medicine inutili che il medico mi assegna con la sua scienza che spesso mi sembra solo una confusa fede, la fede che crede che un uomo della mia età possa tornare a camminare e vivere come un ragazzo.
Ecco, il robot entra nella mia stanza, sul vassoio ha disposto la cena o forse il pranzo o la merenda? Guardo da lontano mentre si avvicina e vedo che c’è tutto: il piatto fumante, le posate, il pane, la frutta e il caffè. E’ l’ottava volta che viene e mi porta il vassoio pieno; entra nella mia stanza quasi ogni ora e mi augura cortesemente buon appetito, ma occorre che mangi e che mangi tutto perché, altrimenti, devo sottostare alla sua violenza che mi caccia tutto in gola mentre ripete le parole registrate dalla equipe di assistenti sociali, medici e volontari che provvedono alla mia salute: “mangi che le fa bene, non faccia il bambino, vedrà che poi starà bene”. Così continua a ripetermi ingozzandomi con forte determinazione e incrollabile dedizione.
E’ chiaro: qualche circuito è saltato e il robot alla voce alimentazione va per percorsi suoi lontani da quelli che gli furono assegnati.
Le rare volte che qualche figlio o nipote è passato frettolosamente, ho cercato di dire del difetto e del mio supplizio. Il tempo è sempre poco e loro così presi dalla vita si sentono tranquilli perché hanno provveduto per me; credo, infatti, che l’acquisto del robot sia stato tutto a loro carico e credo anche che mettano qualcosa ogni mese per arrotondare quanto io posso disporre.
Un pomeriggio, mi sembra di sabato, li ho sentiti parlare della mia probabile demenza, che occorreva aver pazienza, che mi era saltato l’orologio interno e il tempo era per me scomparso perché dormivo e non mi accorgevo delle ore che passavano. Dicevano anche che non era il caso di contraddirmi e che le cose che andavo farfugliando erano impossibili perché la tecnologia in tutti i campi era finalmente diventata assolutamente affidabile. Effettivamente, dicevano, ero un po’ ingrassato ma, immobilizzato da tempo nel letto, non poteva essere diversamente.
E’ passata un’altra ora e sento il profumo del piatto fumante sul vassoio che sta per entrare nella mia stanza; morirò di certo, ma non saprò mai se ad uccidermi è stato un robot che credendosi uomo ha voluto rubarmi la casa oppure se lo hanno fatto degli uomini che azzerandosi nei sentimenti hanno preferito farsi come robot.