Potere? Ansia di successo? Voglia di emergere?
Potremmo anche aggiungere: infedeltà nei rapporti di amicizia e coniugali, instabilità nei sentimenti e negli stati d’animo. Tutto ciò può essere manifestazione di un disagio, può, cioè, essere espressione di un’inquietudine del nostro cuore.
Il nostro cuore, infatti, sembra non trovare pace finché non riposa nell’uno, nell’uno che unifica le sfaccettature della vita, che dà corpo e significato alle ore della vita.
Il cuore, anche quando non ne ha coscienza, corre alla ricerca e non trovando risposta o prendendo come definitive risposte parziali, si stanca in fretta, riparte, lascia e non è mai contento.
Forse anche Giacobbe desidera qualcosa o qualcuno, ma gli sfugge la modalità.
Il potere è frutto dello sforzo dell’uomo? E’ l’esito dell’inganno, della trama, dell’astuzia? Il potere deve per forza corrodere per sempre obbligando al sospetto, alla difesa, al contrattacco perché ciò che si prende con l’inganno, con l’inganno di altri può essere perso?
Oppure la modalità è un’altra?
Per Giacobbe la risposta passa attraverso un sogno. Il fuggitivo spaventato, affannato per la sua corsa e con l’ignoto davanti a sé, esausto, si addormenta e sogna e in quel sogno irrompe Dio: Dio si fa dono. Lo sconosciuto cercato, diventa un volto che cerca e che entra nella storia di Giacobbe.
Appare una scala piantata sulla terra e appoggiata al cielo perché i rapporti non si giocano solo sulla linea orizzontale, fra uomo e uomo, esiste l’altra linea, quella verticale.
Sulla scala vanno e vengono gli angeli perché la linea verticale, la linea del dono, non si esaurisce in un attimo, non è faccenda di un momento essa è inizio di un dialogo, di un incontro che si prolunga nella vita, che dà senso a tutta la vita.
L’imbroglione, l’uomo privo di scrupoli, il fuggiasco si trova definito in un modo nuovo: le benedizioni, le promesse di Dio sono affidate a lui, lui ne è il custode.
E’ l’inizio della conoscenza di sé e per questo Giacobbe mormorando fra sé, commenta l’accaduto dicendo: “Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”.
Giacobbe non sapeva e ora sa; non è cambiato nulla, rimane fuggiasco, e il ritorno, per ora, sembra solo un sogno, eppure tutto è diverso: Giacobbe non è colui che ruba e inganna ma è colui che riceve e deve compiere.
La via del potere gli aveva insegnato l’estro dell’inganno, la via del dono lo apre alla responsabilità che obbedisce.
Lo vedremo più avanti e qui lo accenniamo, il desiderio non è volontà di possedere, ma è richiesta di un rapporto, di una relazione di affetto in cui chi desidera si senta desiderato e amato. Ciò che conta non è possedere o rubare e forse neppure il dono, ma il fatto che sia tu a donarmelo.
Ora, finalmente, Giacobbe impara a desiderare, impara a porre il desiderio nell’ambito di un rapporto in cui sapendosi amato e cercato può e deve muoversi nella fiducia.
Giacobbe ha compreso che il suo non era un desiderio da poter conquistare, ha capito che la verità del suo desiderio non stava nel possedere, ma si poneva tutto nell’essere desiderato da colui che è oltre ogni desiderio, da colui che è la pienezza di tutti i desideri.
Un particolare in più, suggerito dal commento ebraico (Elia Kopciowski, Invito alla lettura ebraica della Torà, Giuntina p. 53), anticipa il senso di tutto quanto accadrà poi: la scala è fatta di pioli perché nella via trovata del dono si sale gradino dopo gradino attaccandosi alla scala stessa, non c’è spazio per salti o corse, solo gradino per gradino.
La scala, per Giacobbe, diventano gli anni futuri nei quali dovrà crescere e maturare umanamente e dovrà solidificare il rapporto appena nato e dal quale, per ora, rimane ancora un poco distante, segnato dall’ombra del dubbio e dell’incertezza: “Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, 21se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. 22Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima”.
Con questo entriamo nella terza parte del romanzo che riassumo solo brevemente. Giacobbe raggiunge la terra dei suoi padri e si pone al servizio di suo zio Labano lavorando per ventun anni. Qui sposa Lia la moglie dell’inganno, e Rachele la donna amata intensamente fin dal primo incontro.
Dei ventuno anni, quattordici li impiega per gli interessi dello zio e sette per accantonare per sé.
I primi sette lavora per avere Rachele la donna amata, ma allo scadere del settimo anno quando rivendica il suo diritto, il giorno delle nozze viene ingannato dallo zio che riesce a farlo unire con Lia, la figlia maggiore ottenendo, così, altri sette anni di lavoro gratuito con la promessa della figlia Rachele.
Allo scadere degli altri sette anni Giacobbe può sposare Rachele e, infine, lavora ancora altri sette anni per ottenere il permesso da parte dello zio, di poter tornare alla sua terra.
Nella fatica del lavoro Giacobbe impara a dare corpo all’esperienza del dono, la scala fatta di pioli da salire uno alla volta gli sta bene impressa nella mente e nel cuore, ma ormai siamo arrivati all’ultima parte del romanzo: il ritorno.