Ascoltare
Quando un servizio televisivo può far riflettere
21/06/11 09:42
Su Rai
storia si è potuto vedere un interessante servizio sulla repubblica
di Salò. Nel corso del documentario si è cercato anche di dare voce
a chi si arruolò nell’esercito di quella tragica repubblica.
Delle motivazioni che i giovani di allora portavano ne ricordo tre: lo scandalo per la vile fuga del re a Brindisi, la fedeltà alla parola data a un alleato e infine il mito della “buona morte” dentro cui fin da bambini erano cresciuti. E “buona morte” era morire per la patria.
Mentre ascoltavo mi è passata nella mente la maggioranza di quei giovani di allora che ogni domenica si raccoglievano a messa ad ascoltare la Parola di Dio o che frequentavano i campi di calcio degli oratori e le catechesi dei loro preti.
Con quelle immagini nella mente come sovra impresse sono passate le parole “buona morte” e “fedeltà all’alleato” e con sgomento ho pensato anche a noi oggi.
Si può stare seduti per anni ad ascoltare con le orecchie le parole del Vangelo, ma con il cuore sordo. Si può ascoltare e celebrare i misteri di un Dio che muore per salvare e non per uccidere e si possono anche ripetere le preghiere che la liturgia ci mette sulle labbra senza farsi minimamente scalfire, senza che quelle parole diventino orizzonte di valori, provocazione e rilettura dei criteri secondo cui si giudica e si progetta la vita.
Quando un cristianesimo si fa rito che non interpella la vita, la medesima vita la si costruisce acriticamente su criteri che la cultura dominate o l’ideologia dominante in modo subdolo o sfacciato sa instillare e imporre.
La Parola potrebbe essere (e dovrebbe essere) garanzia di libertà di quel pensare che può grazie ad essa volare anche quando la società stende delle reti per tenere tutti in basso dove facilmente poter controllare tutto.
A questo ascolto con la vita si preferisce, invece, ridurre la fede a vicenda “di sacrestia”.
Quando la chiesa esprime giudizi su temi quali la bioetica, gli embrioni, i matrimoni fra omosessuali ecc. ci offende il solito ritornello che da parte della politica li accompagna a commento: “la chiesa non deve interferire ecc...”, ma, a questo punto, la domanda potrebbe essere: in sacrestia ci mettono o ci stiamo già per nostra volontà quando non si tratta di “massimi sistemi” ma del vivere quotidiano, quando rinunciamo di stare di fronte ad una Parola capace di entrare nella vita e nella storia, capace per questo di creare condizioni di vera libertà e non di condizionamento?
Delle motivazioni che i giovani di allora portavano ne ricordo tre: lo scandalo per la vile fuga del re a Brindisi, la fedeltà alla parola data a un alleato e infine il mito della “buona morte” dentro cui fin da bambini erano cresciuti. E “buona morte” era morire per la patria.
Mentre ascoltavo mi è passata nella mente la maggioranza di quei giovani di allora che ogni domenica si raccoglievano a messa ad ascoltare la Parola di Dio o che frequentavano i campi di calcio degli oratori e le catechesi dei loro preti.
Con quelle immagini nella mente come sovra impresse sono passate le parole “buona morte” e “fedeltà all’alleato” e con sgomento ho pensato anche a noi oggi.
Si può stare seduti per anni ad ascoltare con le orecchie le parole del Vangelo, ma con il cuore sordo. Si può ascoltare e celebrare i misteri di un Dio che muore per salvare e non per uccidere e si possono anche ripetere le preghiere che la liturgia ci mette sulle labbra senza farsi minimamente scalfire, senza che quelle parole diventino orizzonte di valori, provocazione e rilettura dei criteri secondo cui si giudica e si progetta la vita.
Quando un cristianesimo si fa rito che non interpella la vita, la medesima vita la si costruisce acriticamente su criteri che la cultura dominate o l’ideologia dominante in modo subdolo o sfacciato sa instillare e imporre.
La Parola potrebbe essere (e dovrebbe essere) garanzia di libertà di quel pensare che può grazie ad essa volare anche quando la società stende delle reti per tenere tutti in basso dove facilmente poter controllare tutto.
A questo ascolto con la vita si preferisce, invece, ridurre la fede a vicenda “di sacrestia”.
Quando la chiesa esprime giudizi su temi quali la bioetica, gli embrioni, i matrimoni fra omosessuali ecc. ci offende il solito ritornello che da parte della politica li accompagna a commento: “la chiesa non deve interferire ecc...”, ma, a questo punto, la domanda potrebbe essere: in sacrestia ci mettono o ci stiamo già per nostra volontà quando non si tratta di “massimi sistemi” ma del vivere quotidiano, quando rinunciamo di stare di fronte ad una Parola capace di entrare nella vita e nella storia, capace per questo di creare condizioni di vera libertà e non di condizionamento?