Giovedi santo e Venerdì santo, inseparabili
Nell’omelia della messa nella Cena del Signore il
Santo Padre (che qui puoi scaricare) propone alla riflessione queste potenti
parole: Gesù trasforma la
sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini.
Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una
forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso.
Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati.
Noi nel dolore
soprattutto quando riteniamo che ci provenga dalla malevolenza
degli altri, pensiamo di potercene liberare attraverso il lamento,
la pettegola confidenza. Quando riteniamo di aver ricevuto un
torto, dopo il lamento, lo sfogo, il brontolamento coviamo
sentimenti di rivalsa, di vendetta più o meno esplicitata.
Il Signore ci chiama a una conversione della nostra
mentalità.
L’orto del Getsemani, il Calvario, la Croce di per sé non possono
essere valori perché sono sofferenza e sofferenza causata dalla
malvagità e dall’ingiustizia.
Perché, allora, quel dolore salva, libera, redime? Lo può
unicamente per l’offerta che Cristo ne fa, per il fatto che
offrendo sé al Padre trasforma quel dolore in Amore.
L’offerta di sé per la quale Cristo trasforma la sofferenza e il
dolore in Amore è e diventa una forza trasformante per cui il pane
e il vino (Eucaristia) diventano il corpo dato e il sangue versato
di Cristo.
Nel ricevere l’eucaristia la medesima forza trasformante di Cristo
opera in noi “la nostra stessa trasformazione nella comunione con
Cristo”.
Non è detto dunque che il dolore, come il dispiacere, debba essere
compagno della confidenza mormorante, dello sfogo e della vendetta
e non è neanche detto che fare compagnia al dolore dell’altro
comporti solo ascoltare e istigare tali sentimenti.
Amicizia, correzione, compagnia è aiutare a trasformare il dolore
in Amore e l’eucaristia ricevuta è nutrimento e forza offerta a
questa rinascita.
Essere cristiani e ragionare nella logica del mondo e cioè solo
secondo giustizia e diritto slegate e libere dai vincoli d’amore è
come credere di essere montanari perché per arrivare a casa si sono
prese le scale e non l’ascensore.