CAPITOLO 3
PURCHE’ CRISTO SIA TUTTO IN TUTTI
1. Quando sembra che annunciare Gesù sia dovere degli altri
– come annunciare?
Il tema che tratta dell’impegno di
annunciare Gesù a tutti è delicato perché sembra buttarci
in faccia tutta la nostra incapacità. Chi non ha provato a
parlare di Gesù ai figli o ai nipoti, oppure a qualche
collega di lavoro raccogliendo una simpatica indifferenza?
Dico simpatica perché capita che quando parli di Gesù se
chi ti ascolta ha stima o affetto nei tuoi confronti,
sembra volerti simpaticamente perdonare quella tua
stravaganza che ti porta a credere a cose medioevali che
non hanno più attinenza con l’oggi.
Capita anche di parlare di Gesù con persone che si
dichiarano credenti, ma che poi ti affliggono perché
difendi il Papa o i vescovi o i tuoi preti mentre loro,
invece, dichiarano con una punta di vanto di credere in
Dio, ma non nella chiesa.
Altre volte ti capita di andare in chiesa e senti un bel
pensiero su Gesù e questo ti conferma in un’idea malsana:
“non riesco a convincere nessuno perché non sono capace,
non so parlare, non capisco bene tutte le cose belle della
Bibbia” e così accetti l’idea che parlare di Gesù sia
faccenda di altri, dei preti o comunque di quelli che si
intendono e sanno parlare.
Se poi ci metti anche che questo mondo ti sembra andare per
strade strane, che si vada a sistemare tutto sottosopra, la
demoralizzazione si fa completa. Continui a voler bene a
Gesù, ma la cosa pensi che ormai debba rimanere solo fra te
e Lui.
Beh, se parlare di Gesù è fare un discorso forse potrebbe
essere vero che non tutti si sentono di farlo, se parlare
di Gesù vuol dire ricordarsi a memoria tutto il catechismo
della chiesa cattolica allora certo non è da tutti (forse
da nessuno), e se parlare di Gesù vuole dire sapere
necessariamente di filosofia, di scienza, allora è vero che
solo Benedetto XVI e pochissimi altri potrebbero raccontare
di Lui.
Ma, pensa per un attimo, alla tua mamma o meglio ancora
alla tua nonna, quella cara vecchina che andava a messa
alle sei del mattino. Se oggi credi è anche per i baci
della tua mamma, della tua nonna e delle parole belle che
sapevano sussurrarti quando il sacerdote alzava l’ostia
consacrata durante la messa.
Il calore della loro voce, il loro abbraccio, il bene che
ti volevano facevano scivolare nel tuo cuore le loro parole
semplici e quell’ostia diventava per te, con certezza, il
Signore buono e innamorato di te.
Tra parentesi in certi tempi andati, tra l’altro, la messa
veniva detta in latino e lì proprio tutti (chissà forse
anche qualche prete) ci capivano poco, per non dire nulla.
Allora come la mettiamo? La mettiamo che anche san Paolo ha
dovuto passare per una bella sconfitta che tra poco ti
racconto così ti consoli per le tue sconfitte e vedrai che
ti aprirà, come è accaduto a lui, delle nuove prospettive.
Per
riflettere e meditare:
prova a fare una
cosa apparentemente stramba, nel silenzio rivolgiti a Gesù,
digli che gli vuoi bene, non avere paura a provare delle
emozioni quasi che Ti risponda accarezzandoti, poi digli:
“senti, se vuoi io ti porto con me in mezzo a tutti gli
altri, vuoi? Se dici di sì mi devi aiutare perché credo di
non farcela e di non essere capace.
Poi prova, una volta tanto, a non pensare ai tuoi difetti,
ma a tutte le tue qualità, perché Dio quando crea fa le
cose per bene e anche in te non ha dimenticato di mettere
tante ottime qualità. E’ solo questione di prenderne
coscienza.
Ed ora la storia. San Paolo un giorno decide di andare ad
Atene per parlare di Gesù. Ti ricordi il nostro santo Padre
quando è andato a Ratisbona a parlare ai professoroni e
così in questi giorni in Francia? Bene Atene era molto,
molto di più di tutte le nostre più grandi università.
La c’erano i sapienti, i filosofi quelli che ragionavano
sulle cose, sull’uomo, sul cosmo e che cercavano la via per
la verità.
Capisci che san Paolo per quell’incontro si era preparato
ben bene anche perché aveva una bella intelligenza e in
quanto a conoscenze se la cavava brillantemente.
Quando si trova nel cuore di queste scuole di sapienti,
inizia il suo discorso, un gran bel discorso, un discorso
da sapienti, un discorso da grandi filosofi. C’è da dire
che tutti lo ascoltavano volentieri perché parlava quasi
come loro, solo che alla fine san Paolo girava troppo
intorno: era come se stentasse ad arrivare al dunque.
A quel dunque, però ci doveva pur arrivare e dopo averla
presa alla larga arriva finalmente a dire che Gesù, che è
vero Dio e vero uomo, è risorto per noi.
Gli stessi che prima lo avevano ascoltato con attenzione al
sentire della risurrezione lo salutano e mentre se ne vanno
con ironia gli dicono: “bravo, bravo, di questo argomento
ne parliamo un’altra volta…”
A san Luca, che racconta il fatto al capitolo 17 del libro
degli Atti, spiace dire che san Paolo ha fatto una
figuraccia e che il fallimento è stato totale e, quindi,
registra nel suo libro che in Atene, comunque, due con
qualche altro si convertirono al cristianesimo, ma dal
momento che riporta il nome solo di due, mi sa che i
convertiti sono stati solo quei due: una donna e un uomo.
Tra l’altro quell’uomo si chiamava come il nostro
Arcivescovo: Dionigi.
Come ti ho anticipato, ti ho raccontato questo per
incoraggiarti da un lato e per favorire una prospettiva
nuova, quella che Paolo stesso impara e ci propone.
Lo possiamo ascoltare direttamente dalle sue parole.
Dopo il fallimento di Atene si trova a predicare nella
città di Corinto, anche lei famosa, come sappiamo, per la
sua alta vita culturale. Paolo questa volta non intende più
fare l’errore di Atene e preferisce andare subito
all’essenziale perché alla fine il cuore dell’annuncio è
uno solo: Cristo morto e risorto e per il come dirlo è
meglio lasciare fare a Lui. Paolo ci deve mettere tutta
l’attenzione possibile, ma non ci si deve perdere dentro.
20Dov'è il sapiente? Dov'è
il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?
Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo
mondo? 21Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il
mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è
piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della
predicazione. 22E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i
Greci cercano la sapienza, 23noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei,
stoltezza per i pagani; 24ma per coloro
che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo
potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Perché ciò che è
stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è
debolezza di Dio è più forte degli uomini.
…
1Anch'io, o
fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono
presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con
sublimità di parola o di sapienza. 2Io ritenni infatti di
non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e
questi crocifisso. 3Io venni in mezzo a
voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; 4e la
mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi
persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello
Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non
fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di
Dio. (1 Corinzi 1,20-2,5)
Ora tu potresti pensare che Paolo ha solo dimostrato un
buona elasticità mentale per cui invece di piangersi
addosso ha cambiato strategia facendo diventare il
fallimento una risorsa per migliorare.
Potrà anche darsi che qualcosa del genere ci sia stato, ma
qui è in gioco, per nostra fortuna, molto di più.
Paolo cambia stile semplicemente perché l’amore per Cristo
vince in Lui sempre. Forse si sarà sentito un po’ come un
“traditore”: era andato ad Atene e invece di farsi forte
della compagnia di Gesù si era messo ad arzigogolare
intorno ad un pensiero dotto sperando di convincere, ma
cosa convince? Il discorso?
Solo una cosa convince: il tuo affetto vero e sincero per
Gesù, un affetto che può essere e crescere alla condizione
che tu ti senta amato da Lui. Dio ti ama malgrado ciò che
sei. Mi permetti un mio piccolo slogan? Dio ti ama come sei
per accompagnarti ad essere ciò che ancora non sei.
Paolo cambia registro perché è radicato in quell’amore che
lo ha afferrato e, così, torniamo un’altra volta sulla
strada che porta a Damasco, ma questa volta ci facciamo
accompagnare dalla parole di Benedetto XVI:
[Paolo] nella lettera ai Galati scrive: “vivo nella
fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso
per me.
Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede
è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo
tutto personale; è la coscienza del fatto
che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di
anonimo, ma per amore di lui –di Paolo- e che, come
Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo
si è donato per lui. La sua fede è l’essere colpito
dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin
nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria,
un’opinione su Dio e sul mondo. La sua fede è l’impatto
dell’amore sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore
per Gesù Cristo.
(Dall’omelia del santo padre Benedetto XVI del 28 giugno in
occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo)
Per
riflettere e meditare:
a bloccarti nella
responsabilità di portare Gesù a tutti è solo la paura
della fatica o gli insuccessi subiti oppure manca un po’ di
amore?
Questa non è una domanda da demoralizzare se mai da
spingere ad abbracciare, mi ricordo infatti di una
medaglietta che andava di moda fra gli innamorati molto
tempo fa, sopra c’era scritto: “più di ieri e meno di
domani”.
2. A chi annunciare Gesù?
Le direzioni sono due.
2.1 La prima direi è orientata all’interno della comunità
perché ognuno di noi è per l’altro memoria del Signore
9Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il
nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere
di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio.
10Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è
stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento
verso di voi credenti; 11e sapete anche
che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo
esortato ciascuno di voi, 12incoraggiandovi e
scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio
che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.
(Romani 2)
Questo annuncio è fatto nella vita semplice di tutti i
giorni quando si permette a Gesù di parteciparvi
accompagnandola ed è fatto di parole che esortano, che
correggono con prudenza, ma anche con decisione
1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a
giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il
suo regno: 2annunzia la
parola, insisti in ogni
occasione opportuna e non opportuna,
ammonisci,
rimprovera,
esorta con ogni magnanimità e
dottrina. 3Verrà giorno, infatti, in cui
non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito
di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri
secondo le proprie voglie, 4rifiutando di
dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.
5Tu però vigila attentamente,
sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di
annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero. (II
Timoteo 4)
Il tutto secondo un cuore particolare come ci viene
suggerito da Gesù stesso nel capitolo 18 del vangelo
secondo Matteo:
Se il tuo fratello commette una colpa, va' e
ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai
guadagnato il tuo fratello; 16se non ti ascolterà, prendi
con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta
sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà
neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà
neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un
pubblicano.
Vedi, l’amore porta a preoccuparsi dell’altro non nel
pettegolezzo, ma nella fraternità, nella trasparenza e
dentro la comunità. Ecco, allora, Gesù che descrive i
momenti di questa attenzione, ma la conclusione “sia per te
come un pagano e un pubblicano” sembrerebbe contraddire
tutto il richiamo che Gesù fa alla misericordia, pensa per
esempio alla parabola della pecora smarrita, ma è solo il
frutto di un’impressione superficiale. Se, infatti, leggi
con attenzione, ti accorgi del vero contenuto della frase.
Se quella frase la dico io o la dici tu certamente prende
il sapore della condanna definitiva, ma detta da Gesù ha
tutto un altro sapore, infatti Gesù è andato a cercare i
pagani e i pubblicani ed è morto per loro, lui stesso,
infatti, ebbe a dire di essere venuto per i malati e non
per i sani.
E’, questa, solo una piccola parentesi ma dà il senso
dell’ampiezza dell’amore che ci spinge a farci responsabili
della vita della comunità, dell’annuncio di Cristo e della
compagnia attenta e sensibile nei confronti dei nostri
fratelli.
2.2 Il rimando, poi, a pubblicani e pagani ci porta a
considerare la seconda direzione dell’annuncio di Cristo:
la direzione che porta a tutti indistintamente.
Questo non è impegno solo dei missionari, ma di chiunque
abbia incontrato Gesù, ed è il cuore della testimonianza
che san Paolo offre e che coincide con tutta la sua vita.
Ancora una volta è la logica dell’amore a guidare
l’inevitabilità delle scelte: sei amato, sei perdonato, per
questo amore che Cristo ti dona tutto si è fatto nuovo e la
tua vita ha conosciuto la speranza vera, come puoi
immaginare che questo sia solo per te? E come non credere
al fatto che Cristo ti possa aver riservato per raggiungere
il cuore di qualcuno che al momento ancora non conosci?
Non è questione di doti o di sapienza (ricorda il brano
della lettera ai Corinzi che hai letto poco sopra) tutto è
solo esito di una Amore ricevuto e di un amore dato.
Credo sia sufficiente, a riguardo, questo delizioso brano
tratto dal capitolo 8 del libro degli Atti che ha per
protagonista Filippo e un eunuco etiope:
[Filippo] si alzò e si mise
in cammino, quand'ecco un Etìope, un eunuco, funzionario di
Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi
tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, 28se ne
ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il
profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo: "Va'
avanti, e raggiungi quel carro".
30Filippo corse innanzi
e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse:
"Capisci quello che stai leggendo?".
31Quegli rispose: "E come lo potrei, se nessuno mi
istruisce?".
E invitò Filippo a salire e a sedere
accanto a lui.
32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,
ma la sua posterità chi potrà mai descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
34E rivoltosi a
Filippo l'eunuco disse: "Ti prego, di quale persona il
profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?".
35Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo
della Scrittura, gli annunziò la buona novella di
Gesù. 36Proseguendo lungo la strada,
giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse:
"Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere
battezzato?". 37. 38Fece fermare il carro e discesero tutti
e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo
battezzò.
Per
riflettere e meditare:
prova a pensare
alle persone che normalmente incontri e rileggendo il brano
precedente al posto di Filippo metti il tuo nome e al posto
dell’eunuco di volta in volta il nome di una delle persone
che incontri. Credo che così facendo il brano ti riservi
delle piacevoli sorprese.
3. E la fatica?
Eravamo partiti dagli insuccessi e lì
ritorniamo allargando lo sguardo a tutte le fatiche che
l’annuncio di Gesù porta con sé. Per esempio se ti dai da
fare nella comunità verrai criticata perché non stai mai in
casa, se parli alle riunioni diventerai una o uno che vuol
farsi vedere e si potrebbe andare avanti quasi
all’infinito. Anche san Paolo ne sa qualcosa:
24Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove
colpi; 25tre volte sono stato battuto con le verghe, una
volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho
trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.
26Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di
briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai
pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto,
pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli;
27fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete,
frequenti digiuni, freddo e nudità. 28E oltre a tutto
questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per
tutte le Chiese. 29Chi è debole, che anch'io non lo sia?
Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
30Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si
riferisce alla mia debolezza. 31Dio e Padre del Signore
Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco.
32A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia
alla città dei Damasceni per catturarmi, 33ma da una
finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii
dalle sue mani.
Senza contare poi il fatto che l’annuncio della Parola di
Gesù deve essere fatto nella preoccupazione di ciò che Gesù
pensa di noi piuttosto che nella preoccupazione del
giudizio della gente, ma anche questo diventa motivo di
un’altra fatica
3E il nostro appello non è stato mosso da volontà di
inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode
alcuna; 4ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il
vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli
uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori.
5Mai infatti abbiamo pronunziato parole di
adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia:
Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria
umana, né da voi né da altri, pur potendo
far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.
7Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre
nutre e ha cura delle proprie creature. 8Così affezionati a
voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio,
ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
(Romani 2)
Per riflettere e
meditare.
prova a chiederti
se il non dire quando dovresti sia solo per essere
caritatevoli (come spesso si dice) oppure se derivi dalla
paura di dover sostenere dei rapporti resi più difficili
dalla reciproca permalosità.
Che fare?
Ci aiuta il santo Padre Benedetto XVI prima ricordandoci
nell’ultima enciclica che la zizzania non la possiamo
strappare cioè che un cuore perfetto in noi e negli altri è
al di là delle nostre possibilità e che, quindi, pretendere
una comunità perfetta come condizione per il nostro impegno
non solo è follia ma anche sarebbe la cancellazione
dell’amore perché l’amore ha una regola fondamentale come
ha detto nell’omelia del 28 giugno:
La chiamata [di Paolo] a diventare il maestro delle
genti è al contempo e intrinsecamente una chiamata alla
sofferenza nella comunione con Cristo, che ci ha redenti
mediante la sua Passione. In un mondo in cui la menzogna è
potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole
schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene
lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere
servitore della verità e così servitore della fede.
Non c’è amore senza sofferenza – senza la
sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione
e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non
c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la
stessa vita perde il suo
valore.
Per questo san Paolo può dire, malgrado
tutte le sofferenze e le fatiche sopportate:
35Chi ci separerà dunque
dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
36Proprio come sta scritto:
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo trattati come pecore da macello.
37Ma in tutte queste
cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci
ha amati. 38Io sono infatti persuaso che né morte né vita,
né angeli né principati, né presente né avvenire, 39né
potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura
potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù,
nostro Signore.
Per
riflettere e meditare:
hai paura delle sofferenze e delle fatiche cui l’amore
conduce?
Hai fiducia nella forza dell’amore con cui Cristo ti abbraccia?